Miniaturizzazione, aumento dell’efficienza, riduzione dei consumi: tecnica di climatizzazione mobile con il biossido di carbonio
STSSENSORS il 8 Luglio 2016
Il biossido di carbonio è conosciuto già da più di 150 anni per le sue proprietà refrigeranti. Il fatto che solo ora venga applicato nella tecnica di climatizzazione mobile dipende sia dalla pressione esercitata dal legislatore per ridurre l’effetto serra sia dalle migliori possibilità tecniche. In tutto questo la misurazione della pressione gioca un ruolo centrale.
Da gennaio 2011, i climatizzatori delle auto contenenti gas fluorurati ad effetto serra con un potenziale di riscaldamento globale superiore a 150 sono vietati da una direttiva UE. Bisogna dunque sostituire il tetrafluoroetano (R134a) fino ad allora utilizzato come sostanza refrigerante. Siccome la CO2 danneggia il clima 1430 volte in meno dell’R134a, si è presentata come alternativa grazie alla sua elevata capacità di refrigerazione e alle sue ottime proprietà chimiche.
Le argomentazioni sull’utilizzo della CO2 come refrigerante non possono essere ignorate:
- Come sostanza presente in natura è illimitata in tutto il mondo e disponibile a bassi costi.
- È molto meno nociva di altri refrigeranti come l’R134a, l’R404A, l’R407C e altri.
- Come sottoprodotto di processi industriali non deve essere prodotta in maniera troppo gravosa.
- Sotto il profilo tossicologico è stata ben studiata a differenza di altri nuovi refrigeranti.
- Non è né tossica né infiammabile e rappresenta un pericolo per la sicurezza inferiore rispetto ad altre sostanze.
- È compatibile con tutti i materiali comuni.
- Ha una elevata capacità volumetrica ed è adatta anche per le pompe di calore.
La transizione dall’R134a all’R744 (è questa la sigla con cui la CO2 viene registrata come refrigerante) non può essere comunque completata con facilità. A fronte di molteplici vantaggi ci sono anche alcuni svantaggi, che però coinvolgono solamente la costruzione dei climatizzatori mobili nei veicoli: qui bisogna prestare attenzione alla situazione di pressione molto alta e alla bassa temperatura critica di 31°C. Il passaggio all’R744 ha quindi a vuto inevitabilmente una strada più lunga presso i banchi prova dei produttori e dei suoi fornitori.
Tecnica di climatizzazione con la CO2 – Ecco come funziona
Il funzionamento di un tradizionale impianto di climatizzatore inizia naturalmente premendo il pulsante AC all’interno dell’abitacolo. Il giunto magnetico presente sul compressore viene così alimentato dalla tensione (i compressori di ultima generazione sono sprovvisti di giunto magnetico e la pressione viene regolata internamente attraverso la corsa del pistone). Tra la puleggia e l’albero del compressore si stabilisce un collegamento. A questo punto, il compressore aspira il refrigerante gassoso che viene compattato e compresso nella tubatura pressurizzata. In questo modo, però, aumenta anche la temperatura della sostanza refrigerante. Per questo il condensatore installato nella parte anteriore dell’auto serve a riabbassare la temperatura. Durante questo procedimento il refrigerante cambia stato fisico passando da gas a liquido. Il refrigerante ora allo stato liquido procede oltre verso il filtro disidratatore ed è qui che gli viene eliminata l’umidità. Il refrigerante passa infine attraverso la valvola di espansione. Dopo questo restringimento, nell’evaporatore sottostante il refrigerante cambia nuovamente stato. L’energia necessaria a questo cambiamento viene sottratta dall’aria: la temperatura all’interno dell’auto si raffredda. Ora il refrigerante allo stato gassoso può essere nuovamente aspirato dal compressore e il ciclo ricomincia.
Questo principio di raffreddamento rimane invariato anche con l’utilizzo dell’R744. Tuttavia, le condizioni tecniche cambiano appena. Il biossido di carbonio, a causa delle sue proprietà, pone nuove esigenze al sistema per quanto riguarda la pressione e la temperatura.
Rispetto a un normale sistema di raffreddamento mobile, lo scambiatore di calore interno aggiuntivo rappresenta la differenza più grossa. Ciò è necessario poiché gli impianti di climatizzazione a CO2 funzionano con una perdita di calore supercritica al di sopra dei 31°C. Il ciclo di refrigerazione si svolge in questo modo: il gas viene compresso nel compressore ad una pressione supercritica. Arrivato qui il gas passa in un radiatore del gas, il quale, rispetto al sistema convenzionale, assume il ruolo di condensatore. Qui il gas viene raffreddato, senza che abbia luogo una condensazione. All’interno dello scambiatore di calore che segue avviene un ulteriore raffreddamento. Durante il passaggio successivo la CO2 viene compressa attraverso la valvola di espansione. L’espansione porta il gas allo stato di vapore acqueo. Questa quota di vapore acqueo viene infine vaporizzata nell’evaporatore ed ecco che si verifica l’effetto di raffreddamento.
Oltre allo scambiatore di calore interno e al radiatore del gas al posto del condensatore, l’alta pressione con la quale il sistema lavora rappresenta la differenza maggiore in confronto ai sistemi di raffreddamento mobili precedenti. Le richieste di resistenza di tutti i componenti utilizzati crescono con la pressione all’interno del sistema. L’alta pressione si ripercuote soprattutto sulla costruzione del compressore che deve dunque essere riprogettato.
Pressioni elevate richiedono tecniche di misurazione efficienti
Nella costruzione di nuovi compressori un aspetto fondamentale è rappresentato dalla dimensione molecolare molto piccola della CO2, poiché si diffonde velocemente attraverso i materiali di cui sono fatte solitamente le guarnizioni. Occorre quindi progettare un nuovo anello di tenuta per evitare che l’aria fredda si disperda. La guarnizione deve essere adeguata alle caratteristiche chimiche del refrigerante e deve poter resistere alle alte pressioni nel compressore in funzionamento continuo – cosa da accertare al banco prova con test a lungo termine.
Anche il corpo stesso del compressore non può essere semplicemente preso dai sistemi di raffreddamento tradizionali. Per funzionare in modo efficiente e a lungo deve resistere alle alte temperature. Un’altra sfida è costituita dalle pressioni di aspirazione fortemente fluttuanti, che influenzano in modo significativo anche le pressioni della camera di compressione. Sul lato di alta pressione sono possibili pressioni massime di 200 bar. Per via di queste caratteristiche con i compressori convenzionali si verificherebbero perdite molto più veloci rispetto all’uso dell’R134a. Tuttavia il problema è superabile, poiché oggi, a differenza di alcuni anni fa oggi, è possibile produrre componenti molto più accurati. È dunque indispensabile monitorare costantemente le pressioni nei prototipi realizzati.
Al di là delle buone caratteristiche per l’ambiente e delle migliori capacità di raffreddamento l’elevata pressione che si verifica nei sistemi di climatizzazione a CO2 ha ulteriori vantaggirispetto all’R134a: per via della maggiore densità della CO2, a fronte di uguali o persino maggiori capacità di raffreddamento, si riduce lo spazio necessario all’installazione in confronto all’R134a. Per la stessa capacità di raffreddamento occorre solo il 13% della portata volumetrica di un compressore con R134a come refrigerante.
La riduzione delle dimensioni rafforza anche la reputazione delle tecniche di misurazione della pressione sempre più piccole. Grazie alle possibilità di miniaturizzazione qui sono molto indicati i sensori di pressione piezoresistivi, perché lavorano in modo estremamente preciso con le basse pressioni e persino con pressioni elevate forniscono risultati precisi – specialmente nei test a lungo termine. Il trasmettitore di pressione su base piezoresistiva della STS offre inoltre ai produttori il vantaggio decisivo nello sviluppo di nuovi modelli: la strumentazione può essere adattata alle nuove esigenze grazie alla costruzione modulare.